Con il progetto “Refettorio del Futuro”, ideato in collaborazione con il Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and BrainLab IULM e l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (UNISG), CIRFOOD intende sfruttare le principali tecniche di nudging, specifiche del Neuromarketing, per condurre uno studio, realizzato all’interno del CIRFOOD DISTRICT, volto alla riduzione dello spreco alimentare nell’età scolare.
Ne abbiamo parlato con Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.
Ristorazione Scolastica e Neuromarketing: intervista al prof. Vincenzo Russo
Professor Russo, nel progetto “Refettorio del Futuro” che IULM sta
realizzando in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di
Pollenzo e CIRFOOD, state sfruttando le tecniche di nudging
Neuromarketing, con l’obiettivo di ridurre lo spreco alimentare nella
Ristorazione Scolastica. Ci racconta cosa sono queste tecniche e cosa
prevedono?
“Il neuromarketing è una nuova metodologia che ci permette di utilizzare
strumenti più sofisticati rispetto al passato, ovvero strumenti neuroscientifici
come elettroencefalogrammi, eye tracker per misurare il movimento oculare, o
dei misuratori di battito cardiaco, per valutare quantitativamente la reazione
emotiva alle stimolazioni; che siano gustative, pubblicitarie o relazionali. In
questo caso, non ci siamo serviti di strumenti neuroscientifici, ma abbiamo
preferito utilizzare le conoscenze sul funzionamento cerebrale, un altro
degli elementi fondamentali del Neuromarketing.
Lavorando con bambine e bambini non potevamo impiegare strumenti
tecnologici così avanzati, come siamo soliti fare in laboratorio per misurare le
reazioni emotive al cibo che offriamo, perciò abbiamo utilizzato la conoscenza
del cervello. Una delle applicazioni più interessanti è che il cervello tende a
semplificare, e quindi a essere molto più guidato dalla dimensione
emozionale piuttosto che dalla dimensione razionale. Questo vale per i
bambini, ma anche per gli adulti.
Le tecniche di nudge, ovvero le “spinte gentili” a fare delle cose, si ispirano
agli studi di Richard Thaler, premio Nobel per l'economia nel 2017, che ha
dimostrato come il nostro cervello è fortemente caratterizzato da una
semplificazione delle azioni e da un sistema che si lascia guidare più dalle
emozioni. Facciamo un esempio: se guardiamo una porta di sicurezza di un
cinema, notiamo una barra al posto della classica maniglia. Quella barra è un
nudge che ci dà immediatamente l'indicazione che la porta va spinta. Un
nugde ci permette di modificare l'architettura degli spazi o degli oggetti per
guidare i comportamenti delle persone in maniera istintiva ed emozionale. E
proprio l'uso degli stimoli che dovrebbero guidare alcuni comportamenti, è
stato alla base dell'esperimento che abbiamo fatto con i bambini”.
In che modo il Neuromarketing può aiutare a comprendere il comportamento
dei piccoli utenti della Ristorazione Scolastica, ovvero le bambine e i bambini,
durante i pasti?
“Partendo dal presupposto che le tecniche di neuromarketing di cui parlavamo
prima sono più difficili da utilizzare con i bambini, ci sono altri strumenti
adatti a intercettare le loro reazioni, come ad esempio il face reader, una
telecamera che registra i movimenti del volto e intercetta il tipo di emozione
(che sia di disgusto o di piacere) provata mentre si assaggia un determinato
prodotto”.
Un luogo come il CIRFOOD DISTRICT, polo di ricerca e innovazione sul food,
dove sta avvenendo la sperimentazione, in che modo si presta ad accogliere,
attuare e valorizzare le tecniche di Neuromarketing, utili al miglioramento del
servizio?
“Il contesto è fondamentale e noi ci siamo trovati veramente molto bene con
CIRFOOD. Quando sono arrivato al CIRFOOD DISTRICT sono rimasto basito
dalla potenza sperimentale che può permettere un luogo come questo. Non
ero a conoscenza di questo centro così all’avanguardia!”.
Il progetto, ancora in corso, prende in esame due variabili: la quantità e la musica. Rispetto alla quantità del cibo, state sperimentando diverse dimensioni del piatto. Ci racconta le prime evidenze che stanno emergendo?
“Siamo ancora nella fase di prima elaborazione dei risultati e sappiamo che la grandezza del piatto incide sui comportamenti di consumo. Utilizzare piatti più piccoli permette di mangiare meno e sprecare meno perché il piatto si riempie più facilmente, e dato che il nostro cervello ha una dominanza visiva, se il piatto è pieno ci sentiamo più sazi. Quello che abbiamo voluto provare a fare questa volta, visto che i bambini generalmente hanno già il piatto pronto perché arriva direttamente dalle cucine, è una verifica al contrario di quello finora affermato: vogliamo provare a verificare se la grandezza del piatto possa in qualche modo far pensare che il prodotto sia di meno, e quindi far pensare ai piccoli utenti della ristorazione di mangiare di più. Su questo stiamo facendo ancora delle analisi, vedremo quale sarà l’effetto finale”.
Un bambino ha la stessa percezione di un adulto rispetto alla quantità di cibo presente in un piatto?
“Dovrebbe essere una percezione simile, anche se molto più raffinata nell’adulto. Una cosa è certa: gli esseri umani hanno una dominanza visiva e i bambini hanno già un sistema visivo ben sviluppato, perciò la percezione di quantità di cibo sul piatto di un bambino è paragonabile a quella di un adulto. La differenza sta nella gradevolezza del cibo presentato perché la zona prefrontale del cervello (la zona più razionale che pone dei limiti al sistema limbico, ovvero la parte più antica del cervello che ha a che fare con le emozioni) si sviluppa col tempo e si sviluppa in fase adolescenziale. Per questo motivo, i bambini tenderanno a lasciarsi guidare più dalla dimensione istintiva ed emozionale, rispetto invece ad un adulto che ovviamente può porre dei limiti grazie alla zona prefrontale che, a quell'età, è molto più sviluppata”.
Uno degli aspetti più originali e interessanti del progetto, è la sperimentazione sulla musica, seconda variabile indagata. Che valore ha per i più piccoli? E nello specifico rispetto al pasto, come la state utilizzando e perché?
“Noi sappiamo che la musica a bassa o alta frequenza incide sui sapori, in seguito alle sperimentazioni fatte dal premio IgNobel (il riconoscimento satirico assegnato alle ricerche più strane, divertenti, e perfino assurde, ndr) Charles Spence: la musica ad alta frequenza dovrebbe far sentire i sapori un pochino più dolci, mentre la musica a bassa frequenza dovrebbe evidenziare i sapori più amari. L'ipotesi che abbiamo fatto è questa: con la musica a bassa frequenza si dovrebbe consumare un po' di meno e quindi sprecare un po' di più. Ma attenzione, questa è ancora un'ipotesi che dobbiamo verificare! Un'altra cosa importante, da verificare, è l'effetto della musica in generale. Nella nostra sperimentazione, ci siamo concentrati su tre passaggi, che coincidevano con tre giornate differenti. La prima giornata i bambini hanno mangiato lo stesso prodotto analizzato ma senza alcuna variabile; il secondo giorno abbiamo inserito la variabile quantità del cibo e quindi analizzato le grandezze dei piatti. L’ultimo giorno abbiamo inserito la variabile musica, quindi abbiamo non solo da verificare che effetto ha la musica ad alta o bassa frequenza, ma da verificare anche che effetto ha la musica in generale contro l'assenza di musica. Possiamo già ipotizzare che con la
musica (sia ad alta che a bassa frequenza) si dovrebbe sprecare di meno, ma su questo stiamo aspettando i risultati”.
Che tipo di musica fate ascoltare ai bambini e da chi viene scelta? L’ascolto è previsto durante tutto il pasto o solo in alcuni momenti?
“Per la musica ad alta frequenza abbiamo scelto la musica di Chopin, mentre un esempio di musica a bassa frequenza sono i Carmina Burana. L’ascolto era previsto durante tutto il pasto perché avevamo come benchmark l’assaggio del prodotto con e senza musica. Ci sono delle ricerche, infatti, che confermano come il rumore o la musica fastidiosa rendano gli odori già fastidiosi ancora più fastidiosi. Oppure sappiamo anche come una musica francese, sentita in un'enoteca tedesca ad esempio, fa sì che si consumino più vini francesi anziché vini locali. O ancora, come ascoltare della musica classica, quindi più sofisticata, porti il consumatore a scegliere vini un pochino più costosi rispetto a quanto faccia la musica pop. Il problema è che queste tecniche, di solito, non sono adeguatamente conosciute dai ristoratori. Non è un caso che nel mio ultimo libro “Neuroscienza a tavola” abbia deciso di raccontare quello che dovrebbe fare un ristoratore per sfruttare al meglio le conoscenze del cervello”.
Un progetto di ricerca innovativo per una ristorazione scolastica che guarda al futuro.
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