Promuovere sane abitudini alimentari richiede uno sforzo multidisciplinare da parte di tutti gli attori che hanno un’influenza su consumi e stili di vita. Dalle istituzioni alle associazioni di cittadini fino ai servizi, ciascuno ha un suo ruolo, soprattutto nel delicato contesto ospedaliero e socio-sanitario. Proprio negli ospedali, nelle case di cura o nelle RSA, dove le persone si trovano in condizioni di maggiore fragilità e per far fronte a condizioni di salute non ottimali, la gestione del pasto – sia dal punto di vista nutrizionale sia come momento della giornata – è cruciale. Ciò per il ruolo che può svolgere l’alimentazione durante un percorso terapeutico (e non solo): educativo, di prevenzione e di promozione di buone abitudini e stili di vita salutari. A lungo, le imprese della ristorazione collettiva in questo ambito sono state considerate come una commodity, ma (fortunatamente) le cose stanno cambiando. Ma come fare innovazione in questo settore? E soprattutto, quali sono le sfide a cui rispondere e quali le esperienze virtuose che si stanno ritagliando uno spazio in Italia?
Ne parliamo insieme al dottor Andrea Pezzana, tra i membri del Comitato Scientifico del CIRFOOD DISTRICT, Medico specialista in Scienza dell’Alimentazione, direttore della struttura di nutrizione clinica dell’ASL Città di Torino e docente dell’Università degli Studi di Torino.
Ristorazione ospedaliera e socio-sanitaria: un servizio essenziale
La necessità di consumare dei pasti durante i periodi di degenza in ospedale non è una novità. Al contrario, è da sempre uno degli elementi cardine dell’ospitalità delle strutture sanitarie: “inizialmente la componente alimentare era sostanziale nell’accoglienza e nella cura, soprattutto quando le opportunità di terapia farmacologica erano ridotte” inizia a spiegare il dottor Pezzana. Qualcosa è cambiato a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta: gradualmente è stato equiparato a un “servizio alberghiero”, ovvero affiancato altre categorie di servizi come la presenza dei letti, il ricambio delle lenzuola, i servizi di pulizie. “In pochissime strutture” prosegue Pezzana, “si è conservata l’idea che il pasto fosse essenziale per la cura.”
Nello stesso periodo sono stati pubblicati i primi studi che hanno evidenziato come la malnutrizione ospedaliera impattasse su tutti gli aspetti della cura: in particolare, un’alimentazione non adeguata e corretta influenza l’insorgenza di complicazioni, la durata della degenza e la reazione stessa alle cure.
“Oggi ci troviamo in una situazione particolarmente complessa: da un lato, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le Nazioni Unite con la FAO e i principali organismi scientifici internazionali evidenziano la necessità di prendere in carico precocemente la malnutrizione dalla casa all’ospedale. Dall’altra la cultura della ristorazione sanitaria è in affanno perché ancora subisce gli effetti di una visione riduttiva che la equipara a un servizio alberghiero.”
La buona notizia è che qualcosa si sta muovendo nel settore. Ci sono diverse aziende che si occupano di ristorazione collettiva all’interno di ospedali, RSA e altre strutture che stanno lavorando, insieme alle altre figure della filiera, per introdurre elementi di innovazione e riportare il settore al suo ruolo di servizio essenziale e non di commodity per il paziente.
Per innovare la ristorazione ospedaliera la parola d’ordine è multidisciplinarietà
“Spesso si pensa che modificare l’offerta alimentare comporti una crescita dei costi, al contrario è stato osservato come un approccio più attento possa portare a un risparmio in termini di cura, meno infezioni e quindi anche un minor ricorso agli antibiotici. È necessario cambiare paradigma per mettere al centro la terapeuticità dell’alimentazione all’interno delle strutture sanitarie.”, sottolinea il dottor Pezzana.
Dal punto di vista della salute, la ristorazione collettiva svolge un ruolo ben specifico, perché nutrire un paziente in ospedale significa, anche, contribuire alla costruzione di un modello educativo e informativo. Ecco perché alcune strutture già hanno iniziato a inserire nei capitolati delle gare d’appalto l’introduzione di prodotti locali, una maggiore attenzione alla stagionalità, l’inserimento di prodotti freschi. “Sono segnali” dice Pezzana, “di quell’innovazione di cui ci sarebbe bisogno e che si realizza attraverso il coinvolgimento di diverse professionalità nella gestione e organizzazione dei pasti.”
Una ristorazione ospedaliera e socio-sanitaria consapevole non passa solo attraverso il riconoscimento del suo ruolo, ma anche la strutturazione di una filiera che tenga conto di esigenze ed expertise di tutti gli attori. “Organizzare al meglio significa far dialogare insieme dietisti, medici dietologi, chef, esperti di logistica, eccetera. Bisogna immaginare ricette adeguate ai nutrienti, che si possono preparare in grandi quantità talvolta in cucine esterne all’ospedale, portate e servite con facilità e senza far perdere il senso di gradevolezza del pasto” sintetizza Pezzana.
“Una ditta di ristorazione che vuole fare seriamente innovazione” conclude il professore, “deve cercare nuove strategie organizzative e nuove soluzioni logistiche. Deve sedersi a un tavolo comune con esperti di nutrizione, di economica, di filosofia e psicologia di consumi, di organizzazione. È un campo complesso e può essere gestito al meglio solo dal dialogo tra saperi.”
L’esperienza della gestione dei pasti per i pazienti malnutriti e disfagici
Uno dei campi di innovazione che alcune realtà come CIRFOOD stanno già sviluppando riguarda il trattamento di pazienti malnutriti o disfagici, ovvero con difficoltà di deglutizione. Si tratta di un tema di grande urgenza e rilevanza perché, come ricorda Pezzana, riguarda problematiche che progrediscono parallelamente all’invecchiamento. Tanto che oggi si parla di “presbidisfagia” come della difficoltà di deglutizione ed ingestione di cibi che colpisce le persone mano a mano che invecchiano, indipendentemente dalla presenza di patologie neurologiche o del cavo orale.
“L'impresa di ristorazione” sottolinea il professore, “non è assimilabile all’impianto dell’ospedale, ma dev’essere fortemente coinvolta e non solo informata, nel pieno rispetto di trasparenza e diversità di ruoli. Tutti devono acquisire competenze e superare l’idea che sia sufficiente proporre il piatto del giorno frullato.” Al contrario, visti i numeri e la complessità del tema, è necessario sviluppare menù ad hoc che, nella preparazione del pasto, tengano conto del bilanciamento nutrizionale e della gradevolezza di gusto e colore. “Da non sottovalutare anche il volume finale del piatto: se per somministrare il piatto completo sono richiesti dei tempi lunghi, è probabile che il paziente non lo consumi tutto perdendo parte dei nutrienti.”
La strada che alcune realtà stanno percorrendo è quella della creazione di ricettari dedicati con alternanza di gusti e colori, in cui la densità energetica e proteica è consistente, e che vengano incontro agli aspetti nutrizionali e alla gradibilità.
Anche durante la degenza la gradevolezza del pasto conta
“È tempo anche per aggiornare la filosofia della prescrizione nutrizionale” spiega Pezzana. “Oggi esiste un percorso che si chiama Protocollo ERAS che prevede per alcuni pazienti post chirurgici percorsi accelerati di riabilitazione e dimissione. In questo contesto, anche la ripresa di mobilizzazione e alimentazione è più rapida. Tante giornate di minestrine e purè oggi, anche dal punto di vista scientifico, non sono più giustificate. Basti pensare che alcuni protocolli introducono il Protocollo ERAS anche per pazienti operati a stomaco o intestino.”
L’innovazione passa, quindi, attraverso una maggiore attenzione alle figure professionali della nutrizione che oggi ancora, spesso, non trovano spazio in ospedale. Accanto a ciò, è bene superare i pregiudizi sul cibo in ospedale: “si dava per scontato che si mangiasse male, e anche alcune imprese del settore si sono adattate. Esiste però un’alternativa, a questo proposito è stata istituita una Carta dei diritti alimentari del malato scritta da Slow Food con Regione Piemonte dieci anni fa che, oggi, ha ancora grandissima modernità”, ricorda il professore.
L’assunzione del pasto e gli sprechi
Ulteriore asset di innovazione e sviluppo per la ristorazione ospedaliera nel suo complesso riguarda la verifica dell’assunzione del pasto. A lungo questo aspetto è stato dimenticato, ma è fondamentale su più piani: nutrizionale in primis, ma anche antispreco. “Se i pasti gettati sono tanti, significa che i pazienti non hanno mangiato abbastanza e questo va a discapito della loro salute e del loro percorso riabilitativo.”
La soluzione, secondo Pezzana, è reinserire percorsi di monitoraggio anche con l’aiuto di familiari, caregiver e personale. Ciò conferma come per limitare la malnutrizione ospedaliera e garantire una ripresa rapida dell'autonomia, sia necessario uno sforzo globale e collettivo.
Quali sono le sfide attuali della ristorazione socio-ospedaliera in Italia?
In conclusione, le sfide a cui la ristorazione collettiva ospedaliera e delle strutture socio-sanitarie devono far fronte riguardano l’invecchiamento della popolazione con le patologie ad esso connesse, la specificità dei bisogni di pazienti e la necessità di integrare la filiera di fornitura del pasto con professionalità specializzate.
“Tutte le volte che parliamo di cibo” conclude il dottor Pezzana, “bisogna mediare tra tradizione e innovazione. In questo contesto, dobbiamo immaginare un’innovazione che non stravolga il cibo e, anzi, ne conservi le caratteristiche di piacevolezza e convivialità. Ciò su cui possiamo agire sono i percorsi organizzativi, la riduzione degli sprechi e la logistica, con il coraggio di ricordare ciò che rappresenta per tutti noi il momento del pasto.”
Ciò significa che “se in ospedale un paziente si trova di fronte un piatto perfettamente bilanciato, ma organoletticamente scadente oppure non adeguato alle sue possibilità di alimentazione rischia di perdere quel valore, e così rischiamo di perdere tutti” conclude il professore.